RICCARDI ANDREA
SOCIAL JUNCTION
 
Jasenovac, Croazia. Un piccolo museo ricorda un luogo di morte  nel cuore della seconda guerra mondiale ormai quasi dimenticato, come il massacro di quasi 80.000 persone tra ebrei, serbi, rom e resistenti al nazismo che li fu perpetrato. Una tragedia balcanica che oggi può e deve richiamare qualcosa d`altro: che vivere insieme tra diversi è una necessità della storia. Lo era allora, lo è ancora di più oggi nel mondo globalizzato.

Andrea Riccardi su SETTE - Corriere della Sera del 28/08/2015
Andate a vedere quel campo della morte
Jasenovac fu uno degli orrori della Seconda guerra mondiale: un dramma non pienamente collocato nella storia, ma di bruciante attualità

Non è rimasto quasi nulla di Jasenovac, un campo della morte durante la Seconda guerra mondiale in Croazia ai confini con la Bosnia. Lì morirono ebrei, serbi, rom, resistenti al nazismo. Resta un piccolo museo con storie di vittime e un grande monumento che rappresenta un fiore che sboccia. Vicino c`è la ferrovia, con cui portavano le vittime nel campo, dove si moriva di stenti o si veniva uccisi, ma senza la ferrea organizzazione del lager tedesco. Il primo problema è il numero delle vittime: 80.000 secondo alcune ricostruzioni e, secondo altre, dieci volte tanto (il che lo renderebbe il terzo lager europeo dopo Auschwitz e Dachau). La narrazione di questa triste storia non ha ancora trovato un approdo sereno. Gli autori delle stragi furono gli ustascia, i fascisti croati che, nel 1941, costituirono lo Stato indipendente croato, guidato da Ante Pavelic (sotto controllo tedesco e italiano): Stato razzista, ma anche Stato che professava il cattolicesimo, anzi voleva essere regime cattolico e antemurale contro il mondo ortodosso.
Il che coinvolse, in parte, settori del clero croato, anche se non pochi aiutarono i perseguitati. La crudeltà accompagnava le azioni degli ustascia, caratterizzati da una storia di terrorismo. Ancora oggi, nel centro di Zagabria, mi ha fatto impressione vedere una vasta area adibita a parcheggio, dove un tempo fu la bella sinagoga moresca, demolita nel 1941-42 dagli ustascia (evento ricordato da una piccola targa). Emerge, con tutta evidenza, l`ambiguità dell`uso della religione da parte del fascismo nazionalista.
A Jasenovac, si respira la realtà di un dramma non ancora pienamente collocato nella storia, ma di bruciante attualità. Durante il periodo jugoslavo, Jasenovac fu considerato il monumento alle responsabilità croate. I croati ricordano però che, nel 1945, a Bleiburg in Austria, i partigiani di Tito massacrarono ustascia e altri in fuga, talvolta con le famiglie. Anche qui le stime sono incerte: dai 30.00o ai 250.000 uccisi. Un`altra tragedia. In ogni modo, accostare una tragedia all`altra non ne smorza la drammaticità, ma richiama un tempo buio che, ancora oggi, è difficile da ricordare per non pochi.
Se è difficile ricordarlo, non è ancora pienamente un monito per il futuro. E lo si è visto con i conflitti balcanici (durante i quali anche il museo del campo fu in parte devastato). Eppure c`è bisogno di visitare Jasenovac, che è uno degli orrori della Seconda guerra mondiale. I dati, forniti dal museo del campo, dicono che lì morirono 46.600 serbi, 16.100 rom, 12.911 ebrei, 4.200 croati, 1.100 bosniaci musulmani e altri. Morì l`idea dello Stato cattolico-nazionalista che aborriva il vivere insieme tra comunità religiose e etniche diverse.

MONDO GLOBALIZZATO. «Una parte dei serbi la uccideremo», dichiarò il ministro ustascia per l`educazione, «un`altra la espelleremo, e il resto lo convertiremo alla fede cattolica, e in questo modo diverranno croati; e se non rimane più nulla, di essi resterà solo un brutto ricordo». Eppure, con la loro stratificazione di popolazioni e religioni, i Balcani ricordano qualcosa d`altro: che vivere insieme tra diversi è una necessità della storia. Lo era allora, lo è ancora di più oggi nel mondo globalizzato.


La strage dimenticata 
A Jasenovac, in Croazia, morirono 46.600 serbi, 16.100 rom, 12.900 ebrei, 4.200 croati, 1.100 bosniaci musulmani e altri.
 
21 Agosto 2018

A Napoli, a Ferragosto


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