Un "esercito" di oltre 70.000 giovani spietati controlla il traffico di droga, gestisce attività criminose, controlla interi quartieri. Andrea Riccardi nel suo ultimo articolo su SETTE ci porta in Honduras, El Salvador e Guatemala, per raccontarci una guerra spietata, di tutti contro tutti.
In Centro America c`è una guerra, non di carattere ideologico - come le guerriglie marxiste di ieri - o religioso, come in Medio Oriente. Eppure è una vera guerra condotta dalle maras, bande mafiose giovanili. È un "esercito" di più di 70.000 giovani, combattivi e spietati, che controllano il traffico di droga, gestiscono estorsioni e attività criminose, controllano interi quartieri e località. Sono giovani, perché molti di essi muoiono nello scontro con le forze di polizia o l`esercito. Ma ci sono sempre nuove reclute pronte a rimpiazzarli. E uccidono. Nel piccolo El Salvador, con sei milioni di abitanti, sono state assassinate 4.000 persone nel corso del 2014. Non si tratta solo di una storia salvadoregna, ma riguarda anche l`Honduras e il Guatemala. In realtà, la vicenda delle maras è cominciata a Los Angeles, negli Stati Uniti, durante gli anni Ottanta. Qui i giovani immigrati salvadoregni, che avevano alle spalle una guerra civile, ricalcarono la forma delle bande giovanili americane, probabilmente come autodifesa dagli altri gruppi. Infatti le maras sono oggi un grave problema anche negli Stati Uniti, mentre fanno sentire la loro presenza pure in Italia con l`immigrazione centroamericana. Sono un problema globale. I grandi cartelli mafiosi messicani si sono accorti della loro forza e le utilizzano per le loro attività criminose.
La violenza giovanile, tipica di vari Paesi centroamericani, ha trovato una forma organizzativa forte, che integra attraverso rituali iniziatici e mafiosi, e offre una rete di solidarietà: quasi una "nuova famiglia" a ragazzi sbandati e in cerca d`identità. Tatuaggi complessi segnano il corpo dei mareros e qualificano la loro appartenenza alle varie organizzazioni.11 carcere, dove molti di loro finiscono, comporta un modo diverso - non meno efficace - di vivere la solidarietà mafiosa. Tutta la loro vita si svolge all`insegna della cultura della violenza e della morte: i mareros sanno che avranno un`esistenza breve, ma possono avere - subito e fin da ragazzi - potere e risorse finanziarie, soprattutto fare una vita che si potrebbe definire avventurosa (se non fosse tanto triste e
segnata dal sangue sparso). Reclutano tra i ragazzi dei quartieri periferici, spesso isolati e senza lavoro. Non è facile sottrarsi alla loro pressione e al controllo sociale che esercitano. Spesso chi lo fa muore. Tra le maras e lo Stato c`è guerra. I giovani mafiosi sono temibili, perché forti economicamente, pronti a rischiare la vita, radicati sul territorio. Lo Stato non li batte con la forza. Sia in El Salvador che in
Honduras, ci sono state tregue e prospettive di negoziati. È un fatto rivelatore di come le maras abbiano la dimensione di organizzazioni guerrigliere, con cui lo Stato deve fare realisticamente i conti. Eppure, a differenza delle guerriglie, non sono ispirate da alcuna ideo- logia e non fanno politica: non possono essere integrate nella vita pubblica e nelle istituzioni (e non ne hanno il desiderio né la capacità). Il contrasto attivo di queste mafie si deve accompagnare a una profonda bonifica sociale. Ma è un processo lento. Eppure questo è il grande problema del nostro tempo post-ideologico: una violenza diffusa, che assume l`aspetto di una guerra. Una violenza, come modo di vivere, che - senza verniciature ideologiche - si rivela nel suo orrore.