Roma è in crisi. Per uscire da questa situazione c'è bisogno di guardare al passato, alla grande e difficile storia di questa città. E c'è bisogno di avere uno sguardo lungo sul futuro. Il Giubileo della Misericordia è una occasione opportuna. L'analisi di Andrea Riccardi intervistato da Vatican Insider.
Vatican Insider, 1 agosto 2015
Riccardi: una costituente di Roma per superare la crisi
Mettere insieme tutte le forze spirituali, sociali, economiche e culturali. Il convegno sui mali di Roma del ‘74, le parole del Papa al Te deum, l’occasione del Giubileo
Intervista di Iacopo Scaramuzzi
Roma «ha bisogno di una fase costituente in cui si mettono insieme tutte le forze spirituali, sociali, economiche e culturali» per superare la «grave crisi» in cui versa la capitale d’Italia, sede del successore di Pietro, tra un «declino» scoperchiato dalle inchieste di “mafia capitale” e una assenza di visione politica come quella che, invece, venne ad esempio espressa nel 1974 in occasione di uno storico convegno diocesano sui “mali di Roma”. E’ l’analisi di Andrea Riccardi, storico del cristianesimo e fondatore della comunità di Sant’Egidio. L’anno santo della misericordia, che si apre a dicembre prossimo, può essere l’occasione per «iniziare un processo» che porti a riscoprire una «vocazione comunitaria» della città eterna.
Nel 1974, dal 12 al 15 febbraio, si svolse nella basilica di San Giovanni un incontro intitolato «Le responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma». Promosso dall’allora cardinale vicario Ugo Poletti, vide la partecipazione di religiosi e laici, sacerdoti (tra gli altri don Luigi di Liegro, poi presidente della Caritas diocesana) e intellettuali sui «mali di Roma». Fu, a maggio, l’anno della sconfitta della Dc al referendum sull’aborto e di lì a poco, nel 1976, con Giulio Carlo Argan, per la prima volta la sinistra avrebbe scalzato la Democrazia cristiana al Campidoglio. Era l’epoca successiva al Concilio vaticano II e il laicato cattolico mostrò con quell’evento il desiderio di un nuovo protagonismo.
Professor Riccardi, la crisi «sta soffocando» Roma, ha scritto l’Osservatore romano, lei concorda?
Credo che Roma stia vivendo una crisi profonda, attraverso un processo duplice. Da un lato il processo di un centro storico quasi completamente svuotato, diventato un grande mercato, uno spazio per turisti e una sede di istituzioni burocratiche. Roma ha perso il centro e nel 1974 ancora esisteva una popolazione del centro storico. Oggi non più. Poi c’è il grande problema delle periferie, che vivono un processo centrifugo nel senso che non hanno riferimenti. La periferia romana degli anni Settanta era una periferia povera ma abitata da tante reti: penso alla rete del Pci, penso alla rete della Chiesa, penso alla rete dei sindacati e degli altri partiti. Negli anni Settanta c’era, anche nel mondo cattolico giovanile, l’idea dell’andare in periferia. Oggi le periferie sono senza un tessuto comunitario, esiste solo un tessuto parrocchiale fortemente indebolito. Lo dico perché la comunità di Sant’Egidio segue la realtà delle periferie romane, abbiamo più di 25 centri nelle periferie e direi che oggi la situazione è molto, molto difficile. Siamo a rischio di reti alternative, l’uomo non vive senza rete: le reti mafiose o le reti di altro genere, come quelle delle destre estreme. Non sottovaluterei la presa delle reti mafiose perché la gente è spesso disperata e non sa a chi rivolgersi. Pensiamo a quello che è avvenuto lo scorso anno nelle periferie, poi strumentalizzato da mafia capitale, le manifestazioni di odio allo straniero: il problema non è il numero di rifugiati che noi accogliamo, il problema è il grande malessere delle periferie romane. E’ un problema enorme e se non ce lo poniamo penso che le periferie possano scoppiare.
Molti dei temi sollevati al convegno sui mali di Roma del 1974 ancora attuali: oltre a quelli che lei citava, gli immigrati, i poveri, le periferie, anche un sistema produttivo iniquo, una borghesia distratta, la questione abitativa, la questione giovanile, gli anziani, la sanità... Roma non ha fatto passi avanti in 41 anni?
Roma ha fatto incredibili passi avanti, ma il futuro non è mai assicurato e credo che siamo in una fase di decadenza. La crisi della politica si è sentita moltissimo a Roma. Roma era una città molto politica, aveva un partito comunista molto forte, con una forte carica trascinatrice, ora si è sentita la crisi della politica. E poi la crisi economica e le trasformazioni della società italiana hanno messo in crisi i ceti medi, che sono stati il grande collante di Roma. In fondo la “cetimedizzazione” della società italiana è stato uno dei grandi successi della prima Repubblica: Roma era la città dei ceti medi, del posto fisso, della liquidazione con cui si comprava la casa al figlio. I ceti medi sono stati un grande collante, e Roma ha sentito questa crisi dei ceti medi. Poi Roma è diventata la città “ladrona”, in tutta una campagna della Lega che ha dato fiato agli istinti peggiori del nord, ma in realtà nel corso della sua storia Roma è stata una città di sintesi, non ha suoi cittadini, come Napoli o Milano, la popolazione di Roma viene tutta da fuori: E’ stata una sintesi e oggi lo è di meno e lo è poco. Una città senz’anima, periferie non abitate: Roma si presenta con una realtà grave crisi.
Come giudica il rilancio della giunta Marino?
Preferisco fare lungo analisi di lungo periodo e ciò mi porta a dire che oggi non c’è una visione di Roma. Negli anni Cinquanta c’era la visione della città sacra di Pio XII, una città esemplare per il mondo. Poi c’è stata la visione democristiana, la visione di una città che doveva crescere. Poi la visione comunista, l’idea di una città che integrava le periferie, realizzata dal sindaco Argan. Poi, ancora, la visione del febbraio ’74, la visione di una città malata che doveva rinasce. Oggi che visione c’è di Roma? Nessuna. Ma, ammoniva il grande Mommsen, non si sta a Roma senza un’idea universale. Io credo che se non c’è un’idea universale, Roma muore. Roma non è una città che può vivere per se stessa. La Roma cattolica vive per la sua visione universale. Giovanni Paolo II, giocando con le parole, diceva “Roma è amor”.
Oggi c’è la “visione” dell’attore Alessandro Gassman che invita i romani a pulire la città...
Non so... A Roma c’è il Vaticano si, ma se non è inserito in una visione della città, rischia di essere come una istituzione internazionale, come una Fao della Chiesa inserita a Roma. Roma con tante isole, alcune più felici e altre meno, ma senza percepire la vocazione comunitaria della città.
Oggi cosa hanno da dire i credenti, con questo Papa, alla città di Roma? Ci sarebbe bisogno di un convegno come 41 anni fa?
Per fortuna sono arrivate le parole di Francesco al “Te deum” del 31 dicembre scorso, perché a Roma c’era stato un silenzio troppo lungo sulla crisi. Roma ha bisogno di parole ma ha bisogno di una fase costituente in cui si mettono insieme tutte le forze spirituali, sociali, economiche e culturali. Ha bisogno di guardare in avanti. E’ una crisi molto grave. Questa crisi ammala le strutture dello Stato, ma può riguardare anche la Chiesa. Il vero problema oggi è da dove può venire una forza positiva per cambiare le cose, questa è una vera domanda.
Manca un don Luigi di Liegro?
Di Liegro è stata una persona molto interessante e importante, è stato un uomo dell’istituzione, il Vicariato, che è ha spinto l’istituzione a uscire dalla sua chiusura. Ci fu la combinata felice del Poletti e Di Liegro, che peraltro erano sfidati da un Pci forte, e c’era Paolo VI che aveva una idea di Roma, citava spesso l’idea Roma patria communis. Ora non voglio dire che la situazione sia disperata. Ci sono frammenti preziosi, tanta gente per bene, però bisogna metterla insieme perché la grande tentazione è rinchiudersi nelle isole. Io non sottovaluterei il discorso di “mafia capitale” non solo dal punto di vista dell’inchiesta ma anche dal punto di vista della cultura: come è stato possibile che una cultura civica abbia tollerato mafia capitale? Non rischia di esserci una cultura di questo tipo nella nostra città? Si è provato molto a circoscrivere, si è detto che il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone esagerava, ma secondo me il problema è più di fondo.
«Meno male che a ottobre comincia il giubileo, una benedizione divina è a questo punto fortemente opportuna», ha scritto con una punta di ironia Antonio Polito sul Corriere della sera...
E’ una battuta molto calzante. Ci sono le preoccupazioni concrete per l’organizzazione del Giubileo: io mi ricordo quello del ‘75 ma soprattutto quello del 2000, il grande livello di organizzazione. Organizzazione vuole dire anche capacità di accoglienza. Poi vorrei aggiungere un’altra cosa: il Giubileo non può essere una manifestazione intra-ecclesiale. Cosa significa il tema del Giubileo, la misericordia, per tutta la città? Secondo me il discorso del Giubileo parla anche del segreto della vocazione di Roma, che è il tema del vivere per una dimensione più larga, dell’aprire il cuore al mondo. Mentre invece stiamo vivendo un processo involutivo, di chiusura nella paura, nell’assenza di relazioni, nell’assenza di motivazioni. Questo mi pare il grosso problema. E quindi c’è un problema di messaggio del Giubileo alla comunità civile e al futuro della città. L’anno santo può essere l’occasione per una nuova costituente di Roma, un’occasione di riflessione per la Chiesa locale. Bisogna iniziare il processo. Non sarà facile, ma già iniziare il processo sarebbe un segno di speranza.